Il film d’esordio di Song è una boccata d’aria fresca per il genere romantico contemporaneo. Un’opera che nella sua semplicità porta alla mente grandi capolavori.
Il Tristano e Isotta di Wagner è il capolavoro del Romanticismo in musica. La sua espressività e l’unità concettuale del disegno lo rendono l’opera culminante e insuperabile, così potente ed evocativa che il compositore pensava che avrebbe fatto perdere il senno alla gente. La caratteristica peculiare del Tristano, sulla quale i musicologi hanno versato fiumi d’inchiostro, è che, nonostante la lunga durata (circa il doppio di un’opera a esso contemporanea come la Traviata), l’intera tensione drammatica e musicale è riconducibile a un singolo accordo. Quello che ora è noto come “accordo del Tristano” non era particolarmente nuovo neanche nel 1859: si poteva già ritrovare nelle opere di Bach, Beethoven, Chopin e molti altri, ma è l’uso che ne fa Wagner a renderlo rivoluzionario. La prima volta che lo incontriamo è quando, dopo due battute, la melodia presagisce una risoluzione. Tuttavia, invece di concederla e permettere così la nascita di una nuova frase, essa aumenta la tensione con la sua natura incerta e introduce una pausa, tenendo quindi la musica sospesa, in un limbo. Per amplificare ulteriormente questo effetto, Wagner ripete la frase altre due volte. Da questo momento la trama musicale continua a intensificare la sensazione di disagio e di desiderio insaziabile con linee melodiche che continuano ad arricchirsi e a farsi sempre più fitte, ma che nel momento in cui preannunciano una possibile fine vengono interrotte: la risoluzione è costantemente negata.
L’amore di Tristano e Isotta non è accompagnato da una musica che si fa portatrice di gioia, tornando continuamente alla tonica in maniera trionfale come nella tradizione romantica, ma da una che rimane sospesa, senza mai risolvere la melodia e perciò lasciando l’ascoltatore senza punti di riferimento. Presto questa mancanza di scogli diventa la norma e per quattro ore rimaniamo senza appigli in un oceano di passione, generato da un uso del linguaggio musicale in cui la tonalità non è che un distante ricordo. Al termine dell’opera, quando Isotta riprende il tema iniziale e lo risolve, non lo fa perché i due sono finalmente liberi di amarsi, ma perché Tristano è morto e lei sta per unirsi a lui; il momento di maggiore gioia è quello della sua immolazione: il cuore dell’innamorata trova serenità solo nella morte.
Wagner, legando così strettamente amore e morte, non sta certo rivoluzionando il genere romantico. Esempi antichissimi mostrano che l’elemento tragico ne è centrale, e a buona ragione: cosa sarebbe il mito di Orfeo ed Euridice senza gli stenti dell’uomo per salvare la sua amata, e la sua successiva disperazione; o la storia di Romeo e Giulietta senza la sofferenza di entrambi gli innamorati nel vedere l’altro morto, e l’estremo sacrificio al quale questo li spinge? L’esplorazione della vastità e della potenza dell’amore va necessariamente condotta, oltre che nei picchi di alta passione, negli abissi di maggiore disperazione, ed è proprio in questi che si esprime meglio l’intensità del sentimento.
Celine Song, con Past Lives, la sua pellicola d’esordio, uscita nel 2023 e prodotta da A24, svolge proprio questa ricerca, con un’eloquenza e una maestria del medium cinematografico che ci si aspetterebbe da un regista molto più affermato.
Il film racconta l’amore impossibile tra Nora, coreana emigrata con la famiglia in America a 12 anni, e Hae Sung, la sua prima fiamma, che invece è rimasto in Corea. La sensazione che Wagner evoca con l’accordo del Tristano è qui costruita visivamente con una sequenza dei due bambini che si separano: Hae Sung che va a sinistra e Na Young (che dopo l’arrivo in America cambierà il suo nome a Nora) a destra. Dopo questo, i due non si sentiranno per 12 anni, finché non riconnetteranno, come è molto comune al giorno d’oggi, online attraverso Skype. Nonostante per molti aspetti sarà come se non fosse passato un giorno, la distanza e l’impossibilità di entrambi di lasciare la propria vita finiranno per essere ostacoli insormontabili e i due smetteranno di sentirsi. Poco dopo Nora conoscerà il suo futuro marito, Arthur, in un ritiro per artisti. Un secondo salto temporale ci porta altri 12 anni nel futuro, al presente, con Arthur e Nora felicemente sposati e con Hae Sung, i cui sentimenti non si sono affievoliti, che decide di andare a New York per trovarla. I due si vedono un paio di volte, passeggiando per la città e prendendo il traghetto per la Statua della Libertà, e inesorabilmente tutti i sentimenti che Nora aveva a malincuore cercato di reprimere, riaffiorano.
Song descrive l’amore che i due condividono in maniera estremamente umana e realistica: non vi è intesa immediata, come in ogni film romantico di seconda categoria. I 24 anni passati in paesi lontani fanno sentire tutto il loro peso, l’unica cosa che ormai li lega è il cuore, gli strascichi di un amore passato, di una vita passata. Vi è grande conflitto in entrambi: Hae Sung deve nascondere ciò che prova, tanto a sé stesso quanto a Nora, e quest’ultima è sposata; i due sono perciò sono costretti a relegare il loro amore a sguardi furtivi e reminiscenze dell’infanzia. Questo non è un film di grandi dichiarazioni sotto la pioggia torrenziale, e non ce ne è bisogno: il sentimento, liberato da ogni cliché e trattato da protagonista, ha in sé tutta la potenza necessaria per avvolgere lo spettatore. L’amore tra Nora e Hae Sung ha poi qualcosa di più: l’estrema semplicità e umanità con cui è trattato, ma anche il modo in cui è sempre forzatamente trattenuto, dà l’impressione che stia sempre per scoppiare, ma, come la melodia nel Tristano, non concede mai questa catarsi. Questo effetto è ulteriormente amplificato dal personaggio di Hae Sung, che si distingue dal classico protagonista del film romantico: è piuttosto un uomo timido e dubbioso, che interiorizza ogni sentimento, reprimendo un amore che vorrebbe esplodere.
Song, emigrata dalla Corea come Nora all’età di 12 anni, racconta la storia dell’immigrata, divisa tra l’integrazione nella società americana e preservazione della propria cultura, tra e Nora e Na Young, tra Arthur e Hae Sung. Non vi è possibilità di conciliazione, né di rifugio nel passato, nelle braccia di un amore di un’altra età. Arthur non è il tradizionale antagonista del film romantico, il marito che non apprezza e non comprende a pieno la moglie: è un uomo buono, fragile, follemente innamorato e in grande difficoltà all’interno di questo triangolo amoroso. Non viene data allo spettatore una bussola, una possibilità di immedesimarsi in un singolo personaggio, né Arthur né Hae Sung sono più meritevoli dell’amore di Nora, e perciò, come lei, siamo strappati in due, siamo tutti espatriati. L’irrazionalità e l’universalità dell’amore sono sfruttati per generare un senso di lacerazione e disagio cosmico.
Le speranza di Hae Sung sono destinate a non realizzarsi, il rapporto con Nora può esistere solo come idea, ma è proprio così che può trovare la sua massima perfezione, non è corrotto dal mondo reale: è l’amore assoluto e angelico, di Dante e Beatrice, Petrarca e Laura, condannato a restare solo un ipotetico, un ricordo di una vita passata o un sogno di una vita futura. L’oblio del Tristano, quel vortice nel quale si è destinati a cadere, che finalmente risolve l’accordo, non è presente in Past Lives. Vi è desiderio di abbandono, ma è sempre frenato. L’estremo romanticismo wagneriano è sostituito da una sorta di fatalismo razionalizzato, che rende inevitabile la mancata risoluzione della storia nel finale. Quando Hae Sung sale sull’auto che lo porterà all’aeroporto, riviviamo impotentemente la scena d’addio iniziale, e come 24 anni prima, li vediamo lasciarsi.
Il linguaggio artistico di Song è estremamente maturo, nasconde un controllo totale della scena dietro a un’apparente semplicità. Quello di Past Lives è un disegno unico, è trattato un solo tema, non ci sono sottotrame che distolgono l’attenzione dalla melodia dell’amore, e ogni gesto, ogni parola, ogni sguardo ne è parte essenziale. Perciò, riesce, con magnifica eloquenza, a catturare lo spettatore in un turbine di emozioni di intensità paragonabile a quelle dei personaggi. Ciò che potrebbe essere visto come semplicità è piuttosto un rifiuto cosciente di usare qualunque cliché del genere romantico; l’esperienza di Nora è estremamente personale per Song, e la regista è perciò in grado di trattarla con la dovuta delicatezza e attenzione, e senza bisogno di rifugiarsi in topoi cinematografici. L’amore, che Hollywood sceglie di narrare quasi esclusivamente attraverso le stesse situazioni, le stesse inquadrature, gli stessi dialoghi, riesce a liberarsi di questi rigidi schemi, e a manifestarsi nella propria totalità. Anche la struttura del film riesce a sorprenderci: la classica narrazione in tre atti, con il climax nel finale, ci ha abituato a vedere nel film d’amore un infinito déjà vu, con l’inevitabile realizzazione dell’amore dopo il conflitto. Questo in Past Lives non è presente: come Wagner nel Tristano rinnega la tonalità, Song elude la forza gravitazionale dello stereotipo, del conosciuto, che confina l’amore dietro a gestualità e immagini caratterizzate unicamente dalla loro proprietà di rimandare ad altri prodotti culturali, dalla loro parvenza di già noto, il “meet-cute”, il “grand gesture”, il bacio sotto la pioggia.
“Se fosse sufficiente amare, le cose sarebbero troppo semplici. Più si ama e più l'assurdo si rinsalda.” ― Albert Camus
L’essenza dell’amore è troppo complicata e contraddittoria per l’industria culturale contemporanea, al contempo di massa e di tradizione illuminista. Non essendo in grado di esplorarlo appieno, si sceglie di alludere a esso. Il cliché, nel genere romantico, è stato elevato, non è più solo finalizzato al compiacimento del pubblico, ormai assume un ruolo strutturale. Un esempio lampante lo troviamo nella pellicola 500 giorni insieme diretta da Mark Webb. Storia di un amore che finisce, il film tenta di affermare la propria indipendenza dal resto del genere attraverso l’artificio del salto temporale. Al posto di un’esposizione lineare, Webb costruisce la trama in un groviglio di scorci sui momenti migliori e peggiori della relazione. Potenzialmente interessante, se non fosse per il fatto che tutti questi istanti non sono altro che una collezione di tutti i topoi del genere: l’amore a prima vista, l’alchimia immediata e così via, e che i salti sono solo un modo conveniente per poter balzare da un cliché all’altro. L’amore, schematizzato, passa dall’essere la forza motrice, all’adempiere una funzione esclusivamente formale, ovvero a costituire e indicare l’uso di una struttura narrativa precisa e immutabile, all’interno della quale esiste solo come simbolo di sé stesso.
Il filosofo Slavoj Žižek definisce falsa partecipazione il meccanismo psicologico per il quale il film sembra coinvolgere attivamente in maniera emotiva e morale lo spettatore, senza però serbare il potenziale di cambiarlo o toccarlo in maniera profonda. Hollywood troppo spesso sfrutta questa debolezza del pubblico, e si accontenta di compiacere. Non è infatti un caso che tematiche morali e amorose siano così intrecciate: spesso il banale messaggio sentimentale è accompagnato da uno morale (solitamente altrettanto superficiale), come il superamento delle differenze di classe, si vedano Titanic o Le pagine della nostra vita.
L’amore realizzato, massimo strumento di appagamento, diventa presto banale, e Wagner, grande ammiratore della filosofia di Schopenhauer, lo sa bene: rende interminabile il momento del massimo desiderio, e perciò riesce a catturare e mantenere per tutta la durata dell’opera il momento di più intensa passione. Facendo così, è costretto a trattare la tragicità e l’insoddisfazione in amore come regola assoluta dell’universo; non vi è mai possibilità di lieto fine, l’amore che i due giovani condividono è condannato a una tragica conclusione dall’inizio del preludio, dal momento in cui risuona l’accordo del Tristano. Nello stesso modo è descritto l’amore di Hae Sung e Nora, dolorosamente reale, destinato a non concretizzarsi mai, ma comunque meritevole di essere vissuto. Il poeta Andrej Gorčakov, protagonista del film “Nostalghia” di Andrej Tarkovskij, in uno dei frequenti momenti di ispirazione, si domanda perché in tutte le grandi storie d’amore non vi sia mai un bacio. “Ecco perché grandi: i sentimenti non espressi non si dimenticano”.
Immagine in copertina: Celine Song, “Past Lives”, 2023. Nora e Hae Sung si rivedono in persona per la prima volta dopo 24 anni.
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