Taxi Driver, una lettura shakespeariana

Prima di Shakespeare, il personaggio letterario è statico. Anche nelle grandi opere canoniche precedenti, l’Antico Testamento, l’Iliade, l’Odissea o la Divina Commedia, uomini e donne sono soggetti alle forze della natura e del fato, ma raramente sono in grado di mutare nel modo di porsi davanti al mondo. Dopo decenni di viaggi e lotte, Ulisse torna a casa con la stessa scaltrezza e lo stesso amore per la propria famiglia, e non troviamo differenze tra il Dante del Paradiso e dell’Inferno. Il grande merito di Shakespeare è aver perfezionato la descrizione della personalità nella sua forma più mutevole. L’originalità del Bardo è molto difficile da individuare, tanto le sue scoperte hanno influenzato la letteratura occidentale; quattro secoli dopo, i suoi personaggi continuano a esserne i principali archetipi, e il poeta di Stratford inesauribile fonte di ispirazione per la maggior parte degli scrittori.

Le opere della maturità di Shakespeare sono tragedie della coscienza: in esse i personaggi sono ingannati dai propri monologhi interiori e dalla propria immaginazione, cambiano dopo essersi origliati o dopo aver sentito altri, e così plasmano la trama. Le motivazioni che muovono i personaggi, così come le caratteristiche del loro animo, sono raramente tenute segrete al pubblico; perciò, anche i soggetti meno redimibili, come Macbeth o Coriolano, esercitano su di noi un grande fascino e in qualche modo ci contengano, tale è la vastità della loro coscienza. L’inventiva di Shakespeare nella creazione della persona rende quasi impossibile immaginare un personaggio che non ricalchi uno o più modelli del drammaturgo inglese; la tradizione critica johnsoniana arriva perfino ad affermare che Shakespeare inventò l’umano come lo conosciamo.

Lawrence Oliver, Amleto, 1948, atto V, scena i.

Il “poeta infinito” Amleto, ad esempio, potrebbe essere descritto con termini non esattamente lusinghieri come freddo, violento, egocentrico e nichilista, in base alle azioni che compie nella sua tragedia; tuttavia, nessuno di questi aggettivi sembra essere in grado di catturare l’essenza del principe danese, che piuttosto ci appare come una coscienza geniale, vastamente superiore alla nostra, che viene a patti con la propria esistenza. Amleto porta con sé una grande consapevolezza della morte, ma con straordinaria negatività, questo lo rende più cosciente di cosa significhi vivere e pensare. Ciò che avviene nella trama ci interessa poco, e le morti di Polonio, Rosencratz e Guildenstern gliele perdoniamo volentieri; ciò che conta per il pubblico è la crescita interiore del protagonista.

Iago, il più celebre cattivo dell’opera shakespeariana, non rappresenta la malvagità fine a se stessa o la ricerca del potere a ogni costo, ma è piuttosto il più limpido esempio «dell’attività intellettuale malata, con una totale indifferenza verso il bene e il male». «Iago è indifferente al proprio destino quasi quanto lo è verso quello degli altri, corre ogni tipo di rischio per un vantaggio irrisorio o dubbio, è lui stesso lo zimbello e la vittima della sua passione dominante» (William Hazlitt). La venerazione per Otello dell’atto I si trasforma in una ferita ontologica in seguito alla promozione di Cassio, e le successive azioni di Iago finiscono così per essere una «guerra contro l’ontologia» (Harold Bloom). La crudeltà di Iago, archetipo dell’antagonista, è patetica. Bloom lo definisce l’«ideologo del sillogismo riduttivo […] e la guerra è l’ultimo sillogismo riduzionista, poiché per ammazzare il nemico è necessario credere di lui il peggio che se ne possa credere. La trasformazione che avviene in Iago mentre ascolta se stesso è una perdita del senso di prospettiva, perché la sua retorica brucia ogni contesto e quindi lo isola». La migliore descrizione del male resta quella shakespeariana, in cui le peggiori azioni provengono dalla mancanza di conoscenza, dalla falsa credenza.

Seduto nel suo taxi, l’ex marine Travis Bickle, protagonista del capolavoro di Scorsese Taxi Driver, guarda New York con disgusto: «tutti gli animali escono fuori durante la notte» pensa, osservando la vita notturna della città. Come Iago, Travis è sempre in guerra; in Vietnam sembra aver perso se stesso e, di ritorno a casa, non sa più come vivere; al suo interno intravediamo un vuoto totale, e dietro ai suoi occhi solo disgusto per il mondo. Betsy è l’eccezione; il suo volto angelico induce in Travis la stessa venerazione che Iago prova per Otello all’inizio della tragedia. Betsy è vista da Travis come un faro nella sporca città; supponiamo però che Travis non provi desiderio sessuale verso la donna, e che la scelta di portarla a vedere un film pornografico al secondo appuntamento sia un modo per compensare questa carenza. Travis prova una grande gelosia nei confronti del collega di Betsy, e reputo che, come in Shakespeare, la gelosia sessuale in Taxi Driver si riduca alla paura della propria mortalità, al pensiero che non vi sia abbastanza spazio per sé in questo mondo. Il regno di Travis è la mente, la visione di se stesso è esclusivamente una creazione della propria immaginazione. Allo stesso tempo, il mondo esterno è specchio della propria interiorità, e Travis ne vede solo il riflesso di se, “freddo e distante”. Nel suo diario annota le seguenti frasi: «ecco un uomo che non sopporterà più tutto ciò, un uomo che si erse contro la feccia, gli stronzi, i cani, la merda; ecco un uomo che si ribellò». Ciò che ci stupisce più di questa frase, oltre alla volgarità, è la totale vacuità; Travis, anche lui un maestro del sillogismo riduttivo, non parla di uomini o azioni, ma personifica le proprie paure. Una ribellione non contro un agente esterno, ma contro la propria impotenza, debolezza e mortalità.

«Sporco branco di cani! Io odio il vostro fiato \ come l’aria d’una palude infetta e apprezzo il vostro favore \ quanto una carogna insepolta che mi appesti l’aria. Io bandisco voi! \ Restatevene qui in compagnia della vostra incostanza. \ Che ogni piccolo rumore vi faccia tremare, \ e che piombiate nella disperazione \ anche solo vedendo di lontano agitarsi le piume sul capo \ dei vostri nemici!» ― William Shakespeare, Coriolano, 1607-1608, atto III, scena iii (dopo essere stato condannato all’esilio, Coriolano insulta la folla di romani).

Nei rari momenti in cui parla con qualcuno, come al primo appuntamento con Betsy o quando chiede consiglio a Wizard, Travis ci dà l’impressione di dialogare solo con se stesso; in Taxi Driver non serve una Lady Macbeth per muovere il protagonista verso i propri impulsi peggiori, e stento a credere che anche se ci fosse riuscirebbe a influenzarlo. Come Macbeth, la sua caratteristica più spiccata è l’immaginazione: le scene finali sono frutto della sua mente delirante negli attimi che precedono la morte, ed è lecito supporre che anche altri incontri, come quello con Charles Palatine e con l’uomo che è tradito dalla moglie siano prodotto della sua immaginazione. È troppo facile etichettare Bickle come pazzo e andare oltre; la mente di Travis è molto più interessante: mentre osserva il mondo sceglie cosa vedere e immagina ciò che non trova. In questo lo definirei l’anti-Amleto: il principe di Danimarca riceve chiare indicazioni dallo spettro del padre nel primo atto della tragedia e passa i successivi cinque atti a ritardare l’azione; Travis invece non vuole far altro che agire, e in assenza di spinte esterne, le inventa. La psiche di Travis ci supera in energia e violenza, ma non ci è del tutto estranea; Taxi Driver invece esercita su di noi un’oscura fascinazione, la sua immaginazione contiene la nostra e allo stesso tempo la rappresenta.

«E poiché la ragione della contesa \ non avrebbe fondamento se si tenesse conto soltanto di \ quel che egli è ora, \ la questione sia posta così: che quel che egli è, una volta \ aumentato, condurrebbe a tali estremi, che, \ considerato come un uovo di serpente, \ il quale, covato, per sua stessa natura si ridurrebbe ad \ esser nocivo, \ dobbiamo ucciderlo ancora quando è nel guscio.» ― William Shakespeare, Giulio Cesare, 1600-1601, atto II, scena i (Bruto dialoga con se stesso e nel fare ciò si inganna, ammettendo che non c’è motivo di uccidere Cesare ma tuttavia «la questione sia posta così»).

Bickle non è provvisto di autocoscienza, il secondo atto non sarebbe credibile altrimenti. In questo ricorda il Bruto di Shakespeare, e anche in questo è l’anti-Amleto. In un mese Amleto cresce di dieci anni, passando dal giovane studente del primo atto all’uomo maturo e pienamente cosciente di sé dell’atto V. Travis invece ci sembra essere tornato all’infanzia, giocando a fare il cavaliere e il cowboy, e nonostante la follia delle sue azioni, lo preferiamo al personaggio dell’inizio del film. Riecheggiano le frasi di Wilson Knight: «Finché Macbeth vive in contrasto con se stesso, vi sono infelicità, malvagità e paura; quando, alla fine, lui e gli altri si identificano apertamente con il male, il protagonista affronta il mondo senza paura e non sembra più nemmeno malvagio». Travis non si conosce abbastanza bene da identificarsi apertamente con il male, ma alla fine del film il disprezzo per se stesso e per il mondo viene incanalato in un amore cavalleresco per la prostituta Iris. Anche questo amore però non è altro che un modo di redimersi, di convincere se stesso di essere migliore; è, in fine dei conti, un atto riflessivo. Quando, all’inizio del film, Iris veniva molestata dal pappone Sport, Travis guardava impotente; l’inattività, per negatività, nel corso del film si trasforma in azione. L’ultimo Travis incarna l’ideale dell’ago ergo sum, e l’onore che lo muove è lo stesso di Coriolano, nelle parole di Bloom: “le prodezze di un individuo durante la battaglia, a prescindere dalla causa”. Più si avvicina all’autoconoscenza, più Bickle si inganna, e più il mondo e il suo io si fondono, più mali diventano ontologici.

Immagine in copertina: Martin Scorsese, “Taxi Driver”, 1976. Poster originale del film.

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