La casa dei fratelli Camanini, capace di stregare l’ospite per l’ambiente fiabesco, il suo menù al buio anticonvenzionale e la guida di un maître brillante.
Entrate da una grande porta che sembra nascondere un segreto e vi ritrovate catapultati in una sala con le luci soffuse, le pareti verde bosco e il sottofondo di delicato chiacchiericcio proveniente dalla sala principale. Vi accoglie così Giancarlo, maître di Lido 84, padrone di casa insieme al fratello Riccardo, lo chef, che vi invita a immergervi completamente nell’esperienza fuori dal comune che state per vivere, nel ristorante affacciato sul lago a Gardone Riviera, sulla sponda bresciana.
A Lido 84 si vive una sensazione singolare: ci si sente a casa propria e allo stesso tempo si realizza che quella casa propria non è. È la casa di due fratelli, che grazie alla loro profonda passione hanno trasformato le loro vite creando un gioiello che è stato capace di arrivare ad essere il settimo ristorante al mondo secondo la World’s 50 Best e di ottenere il riconoscimento di una stella da parte della temuta Guida Rossa.
Ma non sono i riconoscimenti a rendere speciale Lido 84, bensì l’autenticità dei suoi piatti, la ricercatezza dei suoi abbinamenti audaci, la calma entropica che emana la cucina e la professionalità di un maître attento, ma mai eccessivo; intraprendente, ma mai esagerato.
Quando si arriva a Lido 84, si entra subito in un locus amoenus. I tavoli che si affacciano direttamente sul Lago di Garda, contornati da un giardino estremamente curato, trasmettono perfettamente l’animo del ristorante, regalando al cliente un anticipo sull’esperienza della cena. Una piccola chicca è il tavolo nella torretta: un gioiello per un convivio speciale, sognatore, che garantisce un’intimità particolare e fa apprezzare ancora di più il Lido.
Si entra poi nel ristorante, che solo ristorante non è. Troviamo varie opere d’arte ad adornare le due sale, da un pianoforte a coda bianco laccato, a macchine da scrivere vintage. D’altronde si sa, spesso alta cucina e arte vanno di pari passo, regalando al commensale, amante del bello, un contatto diretto con l’estetismo. L’ambiente del Lido è senza tempo, si passa dagli anni Cinquanta al futuro, le pareti petrolio della seconda sala ricordano talvolta il lago, talvolta il bosco e il colore rosso della prima sala è lì quasi a ricordare la passione che infervorisce nell’operato dei due fratelli.
Giancarlo ci accoglie, posa i cappotti e ci fa accomodare in un tavolo rotondo vicino alla macchina da scrivere e ad una grande finestra a mezzaluna che si affaccia sulle acque del Lago. Alla mia sinistra c’è l’opera d’arte più importante della serata: la cucina a vista. Il pass non è caotico, anzi, trasuda ordine, disciplina e armonia. La brigata, estremamente giovane, consegna i piatti allo chef che, con occhio critico e professionalità, li rifinisce per consegnarli allo staff di sala. Non ci sono urla, non c’è disordine, c’è solo magia e coordinazione.
Quello che affascina di Lido 84, oltre alla parte culinaria, è l’immensa attenzione alla cantina dei vini. All’inizio della cena si avvicina il sommelier, una figura presente e professionale. Noi scegliamo una degustazione a cinque bicchieri per la nostra cena – Blu Ponti – ma c’è anche la possibilità dei quattro bicchieri – Rosso Pompeiano.
Qui è bene far notare la professionalità del servizio rispetto ad altri simili: i bicchieri di vino sono meno rispetto alle portate, che sono di norma sette o nove. Questo mette in evidenza due fattori: prima di tutto la capacità del sommelier, che abbina lo stesso calice a più portate, scegliendo abbinamenti trasversali mai banali, e come seconda cosa la possibilità di godersi la cena in tutta la sua interezza. Spesso, le degustazioni che prevedono sette od otto calici possono compromettere l’esperienza culinaria, appesantendo il pasto e diminuendo il piacere di godersi appieno sia le portate sia i vini di alta qualità.
La degustazione di cinque calici è perfettamente bilanciata. Accompagna la cena senza mai sovrastare le creazioni dello chef. Il vino coccola la bocca dopo ogni boccone, sciacquandola e preparandola per quello successivo.
Dopo aver familiarizzato con il nostro tavolo, arriva Giancarlo, pronto a guidarci illustrando le varie proposte per il menù. Al Lido c’è la possibilità di ordinare à la carte, oppure di scegliere fra tre menù degustazione. Il primo – 4 e ½ – è un menù più abbordabile: 3 portate principali e un dessert. Gli altri due menù – Oscillazioni – sono invece al buio, di sette e nove portate. Sono menù in cui ci si affida completamente alla mano dello Chef Camanini, si viene guidati in un percorso sensoriale unico: è come indossare una benda e affidarsi a un ignoto intrigante, dolce e sorprendente.
Giancarlo, caparbiamente, vi chiederà se avete delle preferenze, se è la vostra prima volta al ristorante e qual è il vostro approccio al cibo, in modo tale da rendere il menù al buio più adatto alle vostre richieste. A ogni menù, tuttavia, è sempre possibile aggiungere il piatto celeberrimo del Lido, quello che l’ha reso famoso globalmente: Rigatoni Cacio e Pepe in Vescica. Consiglio vivamente di aggiungere questa portata, in quanto simbolo di una tecnica culinaria di livello altissimo.
Scegliamo il menù a nove portate, per una cena senza paura, affidandoci completamente alle mani dello chef.
Il nostro viaggio parte dalla Franciacorta, onorando il territorio bresciano a cui il ristorante appartiene. MonteRossa Flamingo, chiaramente metodo classico, 60% Chardonnay e 40% Pinot Nero. Questo calice fresco e tagliente, che tende al rafano e al melograno, accompagna la nostra amuse bouche, dal francese – letteralmente – “diverti bocca”. Un inizio scherzoso, croccante, creato per far divertire l’ospite. Nel nostro caso diversi piattini con accostamenti di diverse consistenze e colori, che cambiano tutte le sere.
Il filo rosso del Franciacorta rosé ci accompagna anche al primo antipasto, personalmente il piatto che mi ha stregata di più. Una tartare di seppia, precedentemente congelata, lasciata a temperatura molto fredda, tagliata in modo similare al riso sushi in modo tale che ricordasse un nigiri, ricoperta di crema di topinambur – appunto il finto pesce – e burro all’anguilla affumicata, una scarica di sapidità e audacia. Un piatto che confonde, inganna, fa scoprire alla bocca temperature, consistenze e sapori contrastanti, andando a similare uno dei più iconici pezzi di sushi ma con gli ingredienti assemblati al contrario.
Arriva il secondo antipasto, una portata che mescola efficacemente la terra e l’acqua, il bosco e il mare. Un piatto, inoltre, sostenibile e antispreco, che recupera gli scarti. Ostrica Gillardeau su pane recuperato, condito con olio e aceto all’alloro e pino mugo. Un abbinamento che fa il solletico al palato, gusti balsamici e sapidi che si incrociano e si amalgamano amabilmente.
Apre le danze al resto del menù un Riesling del 2018 di Heymann-Löwenstein, una chicca rara. Un vino armonico, pronto alla beva, equilibrato e persistente. Un vino che stupisce gli amanti dei Riesling: minerale e floreale, fragrante e fresco. Lo abbinano ad un piatto geniale, che utilizza il lievito di birra secco come condimento di uno spaghettone al burro, evidenziando la golosità e la rotondità di questa cena.
A seguire, un quadro – risotto all’aglio nero fermentato nell’acqua di mare e frutti rossi – piatto coloratissimo, impiattato e ingegnato con attenzione e precisione, dove lo chef usa la ceramica come una tela. Tuttavia, in onestà, a livello di sapori una delle pietanze che mi ha stupito meno.
Per la terza bottiglia il sommelier ci propone uno Chardonnay barricato della Borgogna di un piccolo produttore (F.L. Raillard). Il vino, con la sua pienezza e morbidezza tipiche di questa tipologia, viene abbinato ad un piatto fresco, vegetale e pungente: una foglia di bieta con cous cous fritto, daikon, patata, curry verde. La cena continua, i camerieri ci coccolano, l’ambiente è rilassato e leggero, il tempo scorre velocissimo, purtroppo.
Arriva una malvasia macerata, determinata a stupire il convitato con le sue note di pesca sciroppata e caramello. È la Malvasia di Ancestrale, abbinata ad una grandiosa animella al miele e senape. Un matrimonio perfetto: l’animella, che graffia, viene addolcita dalla morbidezza della malvasia. Ancora una volta, lo chef stupisce con un ingrediente per niente banale: una frattaglia, cucinata con maestria e resa un piatto di alto livello.
La malvasia continua a fare da contorno ad una guancia di orata fritta, sale, lime, salsa al peperone crusco, succo di arancia sanguinella e olio di semi di zucca. Un boccone goloso, ricco e divertente. Il pesce per niente sovrastato, anzi esaltato, dai sapori che gli vengono abbinati.
La degustazione si conclude con un rosso importante, da meditazione, che accompagna i due piatti finali. Un Pinot Nero della Borgogna (2018) di Hubert-Laferrere: note di bosco, terriccio e frutta acida. Questo vino accompagna dapprima il piatto iconico: la cacio e pepe in vescica, eseguita alla perfezione e ricca di sapore. E poi il piatto conclusivo della parte salata: manzo, lardo, grasso d’anatra, bucce di nebbiolo essiccate e purè di patate che, nella sua grassezza e pienezza, viene ben sciacquato dal Pinot pungente.
A questo punto della cena non credo ci sia altro che mi possa stupire. Ogni piatto è stato una sorpresa, la professionalità dello staff ha accompagnato perfettamente il servizio e le mani dello chef hanno accuratamente sistemato ogni portata al pass.
Ma qui, ancora una volta, da grande ristorante, il Lido 84 stupisce. Arrivano i dolci, pensati per essere condivisi, per essere rubati tra un piatto e l’altro, come si tende a fare sempre con il dolce. Le due portate vengono messe in mezzo al tavolo, da dove gli ospiti possono attingere insieme alla piccola pasticceria.
A questo punto, la torta di rose calda con zabaione entra dritta nel cuore. La sofficità, il profumo di agrumi e il retrogusto dello zabaione contribuiscono a creare un fine cena goloso, saziante e caloroso. I dolci terminano con eleganza, ma ghiottoneria: un percorso completo, sorprendente e mai banale. Lasciano uscire il commensale con un sorriso sul viso e lo stomaco pieno.
Lo Chef passa tra i tavoli a fine servizio per chiacchierare con i clienti, rendendo tutto estremamente normale e casalingo, lontano dalla cucina del settimo ristorante al mondo con una Stella Michelin. Lido 84 offre un’esperienza sensoriale unica, con un rapporto qualità-prezzo grandioso, un servizio impeccabile e una cura degna di nota.
Il Lido è una meta da visitare per gli amanti della cucina che sorprende, che non ha paura di essere troppo, che si fa portatrice di estetismo e piacere. È un regalo che vale la pena fare a sé stessi, di scoperta e di conoscenza. Riccardo Camanini è ambasciatore di una forma di arte che mette sulla ceramica la storia di uno chef e i suoi ideali, con lo scopo ultimo di andare a risvegliare e soddisfare il piacere del buon cibo nei suoi ammiratori.
Immagine in copertina: il tavolo per due nella torretta. Scatto personale, marzo 2023.
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