L’antifragilità e il suo modo di controllare il trambusto dei giudizi superficiali, preservando verità e bellezza delle buone intenzioni.
In matematica e analisi dei dati, il concetto di “controllare” trova un’interessante applicazione nella descrizione del rapporto causa-effetto. Questo approccio permette di garantire che la correlazione osservata in un fenomeno sia imputabile esclusivamente all’interazione diretta tra causa ed effetto, eliminando l’influenza di variabili esterne. In tal modo, si evita di attribuire alla causa meriti o demeriti che, in realtà, derivano da fattori non dipendenti da essa.
Per comprendere meglio questo concetto, consideriamo due variabili tra le quali vogliamo definire una relazione. Come causa prendiamo il leggere articoli sulla nostra rivista, che denominiamo X1 e, per semplicità, trattiamo come una variabile booleana: 0 se non si leggono gli articoli, 1 se lo si fa. Come effetto consideriamo invece la qualità della propria vita, che denominiamo Y, con un valore che varia da 0,0 a 1,0. L’obiettivo è determinare la relazione diretta che c’è tra X1 e Y, ossia se e in che misura leggere gli articoli de L’Ultimo Esteta contribuisca effettivamente a migliorare la qualità della propria vita.
Con le ipotesi necessarie (un campione ampio di dati e l’assunzione che Y sia un indicatore perfettamente misurabile), il passo successivo consisterebbe nel misurare la qualità della vita del campione in due momenti distinti: prima e dopo l’inizio della lettura degli articoli. Fatto ciò, il metodo a prima vista più intuitivo per quantificare l’effetto di X1 su Y sarebbe calcolare la variazione media di Y nei i due periodi.
Ad esempio, se i dati mostrassero un aumento di Y da 0,37 a 0,59, potremmo concludere che leggere gli articoli de L’Ultimo Esteta porti a un miglioramento medio del +22% nella qualità della vita dei suoi lettori. Tuttavia, questo ragionamento è viziato da un errore significativo. Non stiamo tenendo conto di altri fattori che influenzano la qualità della vita nei due periodi di tempo analizzati, come possono essere la qualità delle relazioni personali, la posizione lavorativa occupata o altri aspetti rilevanti non compresi nella nostra causa.
Parte di quel +22% deve dunque essere attribuito a queste variabili, note in letteratura come fattori confondenti (se influenzano sia la causa che l’effetto) o collisori (se sono influenzati sia dalla causa che dall’effetto). Senza un’adeguata strategia per controllarle, il risultato risulta distorto e privo di significato reale.
Per isolare l’effetto diretto della causa ed escludere quello delle variabili confondenti, la matematica utilizza uno strumento chiamato regressione. La regressione è una tecnica statistica che permette di analizzare e modellare la relazione tra una variabile dipendente (l’effetto) e una o più variabili indipendenti (le cause). Per quanto riguarda i collisori, invece, si ricorre a metodologie specifiche per gestirne l’influenza senza compromettere l’analisi.
Ebbene, senza questa potente funzione di controllo matematico, sarebbe impossibile determinare con certezza quale sia il vero effetto delle cause nei fenomeni che ci circondano. Non riusciremmo mai a comprendere veramente, in questo nostro ipotetico modello, quanto leggere L’Ultimo Esteta contribuisca davvero a migliorare le nostre vite. O allo stesso modo, un amministratore delegato non riuscirebbe a stabilire con precisione quanto l’aumento del fatturato sia attribuibile a una campagna pubblicitaria piuttosto che all’azione di altri reparti aziendali o a fattori economici esterni.
La cosa affascinante di questa storia è che la matematica ha la capacità di “controllare” e “silenziare” il rumore generato da opinioni e variabili fuorvianti, concentrandosi esclusivamente su ciò che è rilevante per il modello. È come se riuscisse ad armonizzare il trambusto incessante del mondo esterno, offrendo una visione più lucida e razionale della realtà. Attraverso uno sguardo interiore, nei suoi principi e la sua logica rigorosa, supera le complessità esterne, trasformandole in opportunità di miglioramento. Ne emerge un modello – quello della regressione – che, nella sua apparente semplicità, risulta geniale per precisione ed efficacia. È l’incarnazione di un perfetto esempio di antifragilità, concetto che approfondiremo tra qualche riga.
Oggi, la funzione teorica del “controllare”, se potesse essere applicata a contesti più concreti oltre i modelli di regressione statistica, rappresenterebbe un’innovazione dal valore inestimabile.
Nell’epoca della società liquida e delle piattaforme di consumo, infatti, stiamo assistendo a una democratizzazione del giudizio, che non deve più essere necessariamente informato o razionale, ma è accessibile a chiunque. Questo fenomeno alimenta una crescente polarizzazione dell’opinione, in cui le voci disinformate e piene di odio finiscono per sovrastare quelle fondate e razionali. Troppo spesso, questi “disturbatori” si rivelano decisivi nel minare le buone intenzioni e i progetti di chi cerca solamente di costruire qualcosa di positivo.
In un mondo dove il falso è sempre più esposto, specialmente nei contenuti virtuali, la critica diventa uno strumento indispensabile per smascherare l’inganno. Tuttavia, il problema più grande risiede nella capacità di distinguere tra le critiche costruttive, che rivelano verità utili, e quelle superficiali, mosse dalla disinformazione o dall’invidia.
Queste ultime, se ricevono un’attenzione maggiore di quanto meritino, rischiano di soffocare l’entusiasmo e il valore dei progetti, colpendo gli autori in modo personale e del tutto scollegato dal merito del loro lavoro. Gli autori, da un punto di vista antropologico, tendono così ad attribuire un peso sproporzionato alle voci negative, che finiscono per oscurare la bontà delle loro intenzioni e la visione a lungo termine che anima le loro azioni.
Il risultato? Progetti promettenti vengono rovinati, e le buone intenzioni vanificate, lasciando spazio alla vittoria del male sul bene. Danneggiando non solo i singoli autori, ma l’intera società che avrebbe potuto beneficiare delle loro idee.
“Gli uomini percepiscono il bene con minore intensità del male.” – Tito Livio, Ab Urbe Condita, I secolo a.C., Libro XXX, Cap. XXI, Paragrafo 6.
Gli animi antifragili, riprendendo il concetto di Antifragile descritto da Nassim Nicholas Taleb nel suo omonimo illuminante romanzo, sono quegli individui che non solo resistono al disordine, ma lo trasformano in un’opportunità per crescere, adattarsi e migliorare. A differenza della resilienza, che si limita a sopportare l’urto e il rumore degli eventi uscendone invariata, l’antifragilità trova nel caos un’occasione per evolversi e trarre vantaggio dalle avversità.
Proprio per questa loro natura molto aperta ad accettare potenziali conflitti, questi animi risultano particolarmente sensibili alle critiche infondate. Essendo attenti ascoltatori, intrinsecamente allenati a trarre vantaggio dalle critiche costruttive, infatti, non si limitano a resistere all’urto dell’opinione altrui, ma lo utilizzano come mezzo per affinare le proprie azioni, eliminando distrattori che potrebbero deviarli dalla razionalità del loro percorso. Soprattutto nell’epoca dei bias cognitivi comportamentali che ci spingono spesso a domandarci se stiamo agendo in maniera razionale o confusa da irrazionalità presenti nei nostri schemi di pensiero.
Imprenditori, creativi e artisti (chiamati autori qualche paragrafo fa) sono i classici esempi dello stereotipo dell’anima antifragile. Innamorata del bello, dell’innovazione e del geniale. Caratterizzata da una sorta di razionalità ingenua che la porta a considerare ogni rumore che gli arriva sul suo stesso livello di rilevanza e buon senso, come potenziale fonte di miglioramento degna di essere ascoltata. Il risultato è un effetto simile a quello delle variabili confondenti in matematica: la creazione di un grande rumore che impedisce alle buone cause di agire direttamente sull’effetto senza disturbi o intermediari. Facendo così sprecare preziose energie mentali e rallentando il processo di innovazione.
“Negli ultimi cinque o sei anni, l’elemento più pesante del mio percorso, ancora più del carico di lavoro, è stato il fatto che ci rimango male anche quando un’opinione disinformata o senza senso colpisce non solo me direttamente, ma anche qualcosa alla quale ho contribuito.” – Luca Ferrari, Co-Fondatore e Amministratore Delegato di Bending Spoons, 23 aprile 2024, podcast Chapeau.
Come fare dunque per zittire questo rumore continuo? Il problema della pratica è che, a differenza della teoria matematica, non esiste un interruttore per isolare i distrattori e inserirli in una regressione. Sebbene il modo di pensare matematico possa offrire un’interessante analogia metodologica per affrontare il problema, nella realtà le cose sono più complesse e difficili da gestire.
“In teoria non c’è differenza tra teoria e pratica, in pratica sì.” ― Benjamin Brewster, industriale e finanziere americano, The Yale Literary Magazine, febbraio 1882, articolo “Theory versus Practice”.
Tuttavia, nella ricerca di una maggiore pragmaticità, possiamo comunque ispirarci alla teoria matematica, che con le sue regole essenziali riesce a risolvere il problema complesso delle variabili confondenti e collisori. L’antifragilità, spesso considerata una “resilienza 2.0” – un’evoluzione rispetto alla resilienza classica (1.0) – potrebbe (o dovrebbe), in questo caso, mettere da parte l’eccesso di spirito critico. Tornare anch’essa alle sue basi e regole semplici come chiave per evitare di soccombere a un’autocritica paralizzante, ignorando l’incertezza quando si riduce a rumore inutile e controproducente.
Alcuni consigli pragmatici per riuscire a comportarsi come il Monte Fuji, fermandosi almeno occasionalmente alla resilienza 1.0, potrebbero essere i seguenti:
“per fare le cose per bene, bisognerebbe che [i giornali] imparassero a rimanere in silenzio quando non ci sono notizie di rilievo. I giornali dovrebbero essere lunghi due righe in certi giorni, duecento pagine in altri, a seconda dell’intensità del segnale.” ― Nassim Nicholas Taleb, Antifragile: Prosperare nel Disordine, 2012.
“Il dottore che si astiene dall’operare una colonna vertebrale (un intervento chirurgico molto costoso), dandole invece la possibilità di guarire da sola, non sarà ricompensato e giudicato positivamente quanto il medico che fa apparire necessaria quell’operazione e dà sollievo al paziente pur avendolo esposto ai rischi connessi all’intervento, guadagnandosi al tempo stesso una gratificazione finanziaria.” ― Nassim Nicholas Taleb, Antifragile: Prosperare nel Disordine, 2012.
“Quello che non ti ammazza fortifica, e se sono qui, selection bias, vuol dire che sono sopravvissuto. Cerco di ricordarmi che anche persone ben più meritevoli di me ricevono critiche ogni giorno. È un’illusione credere che tutti sappiano tutto e muovano solo critiche costruttive. Col tempo impari a fregartene di più.” – Luca Ferrari, Co-Fondatore e Amministratore Delegato di Bending Spoons, 23 aprile 2024, podcast Chapeau.
Il passo successivo e definitivo, dopo aver imparato a resistere alle onde senza farsi travolgere e aver ripiegato sulla resilienza 1.0, è avere l’ambizione di osservare quelle stesse onde non solo per cercare di evitarle (resilienza 1.0), né con l’intento di affrontarle e uscirne più forte (resilienza 2.0), ma con l’aspirazione di osservarle e aiutarle a calmarsi, capendo cosa ne provoca movimenti così bruschi e creando un ambiente migliore per tutti (resilienza 3.0).
Un’azione che, nel lungo periodo, offre la massima utilità sia al soggetto sottoposto al rumore – che non sarà più costretto a conviverci non solo nel breve termine – sia a chi lo genera, che ritroverà equilibrio e potrà liberarsi da comportamenti distruttivi per focalizzarsi su attività realmente appaganti.
Insomma, uno sforzo etico straordinario, simile a quello presentato da Robert C. Solomon nel suo saggio “Game Theory as a Model for Business and Business Ethics”, che si articola, come i nostri tipi di resilienza, sul capire e agire su tre livelli fondamentali.
Solomon, con questa trattazione sull’etica nella teoria dei giochi a livello aziendale, ci ricorda che il comportamento etico non può essere ridotto solo all’azione del singolo, ma deve essere visto all’interno di un contesto collettivo e strutturale, per beneficiare profondamente sia le individualità che la società e persino i distrattori esterni nel suo complesso.
In questo modo, si arriva alla resilienza 3.0, la vera realizzazione dell’antifragilità, che non solo affronta e supera le difficoltà esterne, ma contribuisce anche a migliorare l’ambiente che le genera. Trasformare insomma, da vero Ultimo Esteta, non solo la propria esistenza, ma anche quella del contesto circostante, in un’opera d’arte.
Immagine in copertina: Vasilij Kandinskij, “Composizione VIII”, 1923. Olio su tela, 140×201 cm. New York, Solomon R. Guggenheim Museum.
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